Cadorna Luigi

Cadorna Luigi

(Pallanza, 1850-Bordighera 1928). Figlio del generale piemontese Raffaele Cadorna, figura di primo piano nelle guerre per l’unità nazionale, frequentò il Collegio militare a Milano e poi l’Accademia di Torino. Seguì un rapido iter nella carriera militare da subalterno, venendo promosso capitano nel 1875 e a maggiore nel 1883. Sino al 1898, quando fu nominato maggior generale, alternò comandi di unità e incarichi presso lo Stato Maggiore di grandi unità. Agli inizi del nuovo secolo si susseguirono comandi di brigata e divisione. La sua rapida carriera militare però subì qualche rallentamento, rispetto alle cariche ambite e al casato illustre. Per quanto il suo nome ricorresse tra i favoriti nella scelta della carica di capo di Stato Maggiore, fors’anche per alcune sue ruvide prese di posizione nel 1908 gli fu preferito il generale Alberto Pollio. La carriera di Cadorna comunque proseguì con la nomina alla guida del corpo d’armata di Genova, nel 1910. Non partecipò alla spedizione in Libia, che fu guidata dall’omologo di grado generale Caneva.
Dopo la morte di Pollio, il 1° luglio 1914, nel pieno della crisi diplomatica che precedette lo scoppio della guerra mondiale, Cadorna fu designato suo successore (assunse l’incarico il 27 luglio). Durante la neutralità italiana, Cadorna preparò l’esercito al conflitto a venire, rifornendolo delle dotazioni e riserve logorate nelle guerra italo-turca, e apprestò i piani di guerra e le direttive sulla mobilitazione e radunata, rendendole funzionali alle scelte della nostra politica estera. Il progetto bellico contro l’Austria-Ungheria rimarcava consolidate linee strategiche, prevedendo un atteggiamento difensivo nei confronti del saliente trentino e una vigorosa penetrazione verso la valle della Sava − alla ricerca della battaglia risolutiva − attuata superando l’Isonzo e l’altipiano del Carso, verso Trieste e Lubiana. Pur disponendo l’esercito italiano di un dispositivo bellico localmente di gran lunga superiore a quello imperiale, l’avanzata fu fermata, a causa della lentezza dell’approccio e della tenace difesa austro-ungherese lungo le dorsali delle Alpi Giulie e delle alture del Carso. Nei due anni successivi Cadorna cercò attraverso reiterate spallate offensive, le 11 battaglie dell’Isonzo, di scardinare lo schieramento avversario ad est. Il principio tattico dell’attacco ad oltranza, frontale ‒ da lui imposto con tetragona energia e scarsa sensibilità per i costi umani ‒ per quanto sorretto da un dispositivo materiale sempre più largo, si rivelò improduttivo e provocò grandi perdite. L’applicazione di questi dettami era patrimonio diffuso nel pensiero militare dell’epoca, ma d’altra parte costituiva convincimento personale lungamente meditato del generale, espresso nella prassi di comando precedente e nella teoria dei suoi scritti. Né il comandante ritenne, nella solitudine che ispirava la sua conduzione dell’esercito, di modificare nel tempo le sue convinzioni.
Le richieste per il fronte portate da Cadorna al governo e al mondo politico crebbero tra il 1915 e il 1917, in parallelo con la diffidenza verso l’ambiente civile e la politica, ma anche nei confronti i suoi inferiori, colpiti da una larga pratica di destituzioni ed esoneri. Il Comando supremo assunse la completa autonomia nella gestione del conflitto, la zona di guerra divenne giurisdizione impenetrabile al controllo parlamentare. Dopo le onerose offensive del 1917, preparandosi alla pausa invernale, Cadorna si mostrò preoccupato della sicurezza del proprio schieramento e ordinò contromisure difensive, portate però avanti in maniera contraddittoria. L’offensiva austro-tedesca di Caporetto trovò impreparato il comandante dell’esercito. Ebbe consapevolezza della gravità dell’irruzione nemica solo nella tarda serata del primo giorno d’operazioni: la visuale delle operazioni ne fu offuscata, i provvedimenti di contrasto risultarono inefficaci. Quando apparve chiaro che la tenuta dell’intero fronte appariva compromessa, il 27 ottobre Cadorna ordinò il ripiegamento su posizioni arretrate, poi sino al fiume Piave, dovendo gestire la complessa operazione in uno stato di progressivo disordine. Nelle stesse ore il generale emanava il durissimo bollettino in cui accusava le truppe della II armata di resa al nemico senza combattere. Tuttavia il nuovo governo, gli alti comandi alleati, la monarchia propendevano per la sua rimozione dal comando dell’esercito. Un decreto dell’8 novembre 1917, completata ormai la ritirata al Piave, nominava il generale Armando Diaz a capo del Comando Supremo. Nominato al Consiglio superiore di guerra interalleato di Versailles, nel febbraio 1918 Cadorna fu richiamato in Italia, a disposizione della Commissione d’inchiesta su Caporetto. Nelle risoluzioni dell’organo il suo operato in guerra fu duramente criticato. Nel 1919 fu collocato a riposo. Nel clima di unanimismo patriottico del fascismo, Cadorna venne tuttavia nominato Maresciallo d’Italia (1924) assieme a Diaz, ma il dibattito sulle sue responsabilità e sulla conduzione della guerra rimase acceso a lungo nella pubblicistica e nell’opinione pubblica.

A.V.

  • Bibliografia
    G. Rocca, Cadorna. Il generalissimo di Caporetto, Mondadori, Milano 1985; M. Isnenghi, G. Rochat, La grande guerra 1914-1918, La Nuova Italia, Firenze 2000.
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    Archivio Erica Mastrociani - Fabio Todero

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