Manera Cosma

Manera Cosma

Tenente nell’Arma dei Carabinieri, espletati vari incarichi nella penisola balcanica, con l’entrata dell’Italia in guerra partecipò ad alcune operazioni in Cadore; nel 1916, dopo una rapida missione a Bengasi, partì per la Russia in qualità di membro della prima Missione militare italiana per la ricerca e il rimpatrio dei prigionieri di guerra, agli ordini del colonnello dello Stato Maggiore dell’Esercito Achille Bassignano; dopo il rimpatrio di quest’ultimo, nell’aprile del 1918, ebbe il comando di quella che ufficialmente era la Missione militare italiana in Siberia. Il periodo più critico della Missione fu tra il luglio 1917 e l’aprile 1918. Nel luglio 1917, in attesa di essere rimpatriati, 57 ex-ufficiali e 2600 uomini erano stati concentrati a Kirsanov. La Missione italiana aveva appunto lo scopo di recuperarli come italiani «irredenti» e di organizzarne il trasferimento. Manera trovò quegli uomini e, durante la permanenza a Kirsanoff, li riorganizzò militarmente in tre Battaglioni su quattro compagnie ciascuno, provvedendo alla loro istruzione militare.
Con lo scoppio e l’infuriare della rivoluzione russa, però, la sicurezza del contingente era seriamente minacciata. La situazione dei trasporti era critica, il clima generale teso e ostile: urgeva lasciare il territorio russo, divenuto sempre più pericoloso per gli italiani a causa dell’attivissima propaganda tedescofila e bolscevica contro i soldati stranieri, di qualsiasi parte fossero. Gli uomini lasciarono Kirsanoff alla spicciolata, in piccoli gruppi, con treni che partivano per la Siberia: Manera partì con l’ultimo gruppo.
Giunti a Vladivostok, l’ufficiale pensò di poter evacuare i contingente via mare. Non fu possibile, e quindi non rimase che tentare la via della Cina, per arrivare nella Concessione italiana di Tien Tsin. Gli uomini vennero allora provvisoriamente fermati in alcune località della Manciuria, per essere poi concentrati in parte nella Concessione e in parte a Pechino. Nel febbraio del 1918 Manera era riuscito a ritirarsi in Cina insieme con gli irredenti; durante il suo soggiorno in Manciuria aveva avuto la possibilità di venire in contatto con elementi di spicco del movimento russo di controrivoluzione: con il suo spirito di osservazione e di analisi, ebbe molto chiara la situazione politica in Estremo Oriente, e così gli venne l’idea di utilizzare quel contingente di uomini che aveva fortunosamente sottratto allo sfacelo russo e alla dominazione germanica, decidendo di organizzare un Corpo di irredenti efficienti, disciplinati e in grado di dare un fattivo apporto ad eventuali azioni belliche, prevedibili nella regione, pronti a servire la causa dell’Italia e dei suoi alleati.
Nel marzo 1918 Manera fu nominato addetto militare dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo, ma con residenza a Pechino: la funzione gli conferiva ampia possibilità di manovra, legittimando la sua presenza in loco e la sua attività di comando di quel battaglione, ormai conosciuto con il suo stesso nome. A questo scopo fu ripreso su vasta scala l’addestramento militare del Corpo di irredenti ormai redenti e, con l’aiuto di pochi fucili presi in prestito dall’amministrazione della Concessione italiana, un centinaio dei più volenterosi furono addestrati per compiti particolarmente rischiosi. A Tien Tsin il distaccamento dei redenti aveva circa 1500 uomini su cinque compagnie, delle quali una sola poté essere armata, con prestiti dalle truppe francesi. Una parte dei redenti risiedeva invece a Pechino, agli ordini del capitano di corvetta Varalda, che coadiuvava Manera nel comando. L’organizzazione del distaccamento fu ben avviata, tanto che, nella parata del luglio 1918, i redenti sfilarono a Tien Tsin tra la simpatia della popolazione straniera.
Nel giugno 1918 Manera aveva iniziato l’arruolamento volontario di altri 10 uomini e 843 militari di truppa. Il 6 settembre poté consegnare il Battaglione volontario degli irredenti al colonnello Gustavo Fassini-Camossi, comandante del Corpo di spedizione in Estremo Oriente, che era partito da Napoli due mesi prima.
Dopo un breve soggiorno a Tokyo come addetto militare, Manera fece varie volte la spola tra il Giappone e Vladivostok: poiché si era avuta notizia che vi erano molti altri militari italiani sperduti o prigionieri in Siberia, fu incaricato di riorganizzare la Missione militare di aiuto. L’opera di ricerca degli italiani non fu facile, né lo fu ottenerne la liberazione. Manera li trovò e riuscì ad organizzare militarmente anche questi uomini, che avevano patito la prigionia ed erano piuttosto stanchi della condizione militare. Furono raccolti 1700 uomini, divisi in 8 compagnie e un reparto di prigionieri di guerra, che non avevano ancora deciso se impegnarsi o meno nel contingente, cioè non avevano ancora deciso se giurare fedeltà all’Italia: formarono quella che venne chiamata ufficialmente Legione dei redenti. Nelle caserme della Baia di Gornostal, i redenti riuscirono a ritrovare la loro identità, scossa da tante disavventure, e il loro amor di patria. Con un deciso addestramento riuscirono a divenire un’unità ben istruita e forte, che si distinse nel prosieguo delle attività militari in Siberia.
Manera lasciò Vladivostok nel febbraio del 1920 e sbarcò a Trieste nell’aprile dello stesso anno, dopo aver visitato il Mar Rosso e l’Egitto. Ormai era divenuto molto famoso come «Padre degli Irredenti» e la sua carriera aveva preso una piega totalmente differente da quella di un ufficiale dell’Arma rimasto sempre sul territorio metropolitano: con il grado di tenente colonnello, che aveva conseguito nel frattempo per meriti speciali, fu infatti messo a disposizione della presidenza del Consiglio pochi mesi dopo il suo rientro e inviato a Batum, sul Mar Nero, quale capo della locale Missione italiana. Rientrò in Italia nell’agosto del 1921, reinserito nei quadri e assegnato al Battaglione mobile dei Carabinieri Reali di Roma. Tra il 1921 e il 1925, quando passò nel quadro ordinario d’avanzamento a scelta, prestò servizio nelle Legioni di Salerno, Roma e Ancona. Nominato colonnello il 1° aprile del 1927, fu destinato a comandare la Legione di Roma, e in seguito quelle di Milano, Livorno e Bologna.
Tornato ad una vita più normale e meno pericolosa, decise di costruire una famiglia, e il 30 aprile del 1923 si sposò con Amelia Maria Pozzolo, dalla quale ebbe due figlie. Alla fine del 1932 fu collocato in ausiliaria a domanda. L’anno successivo ebbe la promozione a generale di brigata e nel 1940 fu trasferito nella riserva. Nello stesso anno conseguì la promozione a generale di divisione. Anche Cosma Manera ebbe una lunga vita: morì a Torino nel 1958. Il suo curriculum vanta numerossime ricompense al valore, attestati, decorazioni, encomi. Onorificenze gli furono attribuite anche da molti Stati esteri, quali la Polonia, la Russia, la Bulgaria. Ne ricevette anche, nel 1908, una sultanale di grande importanza, quella di commendatore dell’ottomano Ordine del Madjdieh. Ebbe la Croce di Guerra inglese nel 1920.
Era un poliglotta: conosceva, oltre al francese e al tedesco, anche il russo. Aveva nozioni di lingua bulgara, greca e turca. Un uomo molto particolare, al quale la sorte ha concesso di dimostrare il proprio valore.

M.R.

  • Bibliografia
    Bazzani G, Soldati italiani nella Russia in fiamme, Legione Trentina, Trento, 1933; Medeot C., Friulani in Russia e in Siberia, Pelikan, Gorizia, 1978; Rossi M., Irredenti giuliani al fronte russo 1914-1920, Del Bianco, Udine, 1998; http://www.carabinieri.it/arma/oggi/missioni-all’estero/vol.i-1855-1935/1918-1920/cosma-manera.
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