Sebbene il futuro non lasciasse presagire nulla di buono, alla vigilia della guerra Trieste era una delle più importanti città dell’Impero, dopo centri come Vienna, Budapest e Praga. Inoltre il suo porto era il secondo in Europa per incremento assoluto del tonnellaggio, e la città continuava a essere considerata la «chiave dell’Adriatico». Dopo l’abolizione del porto franco (1891), Trieste aveva conosciuto un periodo di intensa crescita economica e demografica: vi erano nati stabilimenti come la ferriera di Servola, lo jutificio triestino, gli oleifici triestini, la spremitura di oli vegetali, la raffineria di olii minerali e la pilatura di riso di San Sabba così che «alla vigilia della Prima guerra mondiale l’industria si era ormai affermata quale elemento fondamentale dell’economia triestina»; dai suoi cantieri nascevano inoltre navi da guerra – nel 1911 vi era stata varata tra l’altro la «Viribus Unitis» – e mercantili. Prosperavano anche il settore del commercio e delle assicurazioni. Tutto ciò condusse a un incremento demografico che portò la popolazione cittadina a crescere dai 176.383 abitanti nel comune del 1900 ai 243.500 del 1914. L’altra faccia di tali successi erano le condizioni di vita delle classi popolari, particolarmente problematiche in alcuni quartieri cittadini come quello di Cittavecchia, simbolo del degrado di una parte della città, l’alto tasso di mortalità infantile, l’incidenza dei suicidi, la frequenza di gravi delitti, la diffusione della malattia mentale che condusse all’inaugurazione nel 1908 del grande frenocomio cittadino di San Giovanni.
La città era attraversata anche da tensioni politiche, sociali e nazionali; se il partito socialista, che negli anni precedenti aveva conosciuto importanti successi elettorali, si batteva per le classi lavoratrici, le condizioni di lavoro di queste – numerosi erano gli incidenti sul lavoro – erano drammatiche. Particolarmente forti si erano fatte le tensioni tra gli irredentisti italiani – molti dei quali ormai voltisi alle ragioni del nazionalismo – e le organizzazioni nazionali slovene; tali tensioni culminarono il 1° maggio 1914 in scontri che ebbero per teatro, fra l’altro, il Narodni Dom.
Ciò non di meno, la cultura triestina viveva un momento di grande rigoglio, anche se la città non sapeva ancora riconoscere la grandezza di alcuni suoi concittadini, come accadde per Italo Svevo. Anche di Umberto Saba si parlava poco, mentre a Firenze si era ormai affermato Scipio Slataper, capace di raccogliere accanto a sé una serie di giovani e promettenti studiosi e letterati come Carlo e Giani Stuparich, Alberto Spaini, Guido Devescovi, Biagio Marin.
Vivace era anche la vita letteraria e culturale della comunità slovena di Trieste, città alla quale l’intero mondo sloveno guardava come alla propria capitale: triestina era Marika Nadlišek Bartol, curatrice della rivista «Slovenka» (1897-1902) che tra i suoi collaboratori poteva annoverare Ivan Cankar, e autrice del primo romanzo sloveno di ambientazione triestina, Fata morgana. Presso il teatro del Narodni Dom, testimone della crescita economica e culturale della comunità slovena di Trieste, vennero rappresentati classici e autori contemporanei e vi fu rappresentata la prima de Hlapci (I servi) di Ivan Cankar.
Oltre a una intensissima e plurilingue vita giornalistica, anche le arti figurative triestine conobbero una stagione di rinnovamento: vi erano attivi autori come Umberto Veruda, Carlo Wostry, Ugo Flumiani, Vito Timmel, Argio Orell; intensa la vita teatrale e musicale, che proprio nel 1914 vide al teatro Verdi lo straordinario successo conseguito dal Parsifal wagneriano; fu accolta con successo anche la Madama Butterfly che ebbe numerose repliche. Infine, tra i cultori della psicanalisi fa spicco il nome del triestino Edoardo Weiss, membro della Società psicoanalitica viennese.