Wagna

Wagna

«A Wagna, io ero molto male… era venuta una commissione che voleva portarmi via, non avevo neanche un anno. […] morivano tanti bambini a Wagna, anche di epidemie, malattie infantili. C’erano tante baracche, loro vedevano chi era malato, per fare delle cure, qualcosa… perchè era una grandissima organizzazione […]. Morivano tanti bambini, perché mancava il mangiare. Mia mamma era esaurita, io piangevo tutta la notte per la fame, e lei non aveva cosa darmi». Ines Muggia è stata una degli ultimi sopravvissuti a raccontare la propria esperienza a Wagna, in Austria, il campo profughi che aveva ospitato la maggior parte degli istriani evacuati nel maggio del 1915. I comandi militari vollero infatti sgomberare i territori in cui si sarebbe combattuta la guerra. Pola, essendo piazzaforte della Marina asburgica, fu ritenuta zona a rischio: i suoi abitanti e quelli di tutta l’Istria meridionale fino a Rovigno dovettero andarsene.

A condividere l’esperienza di Ines Muggia nei domini asburgici furono in oltre mezzo milione di persone, un terzo delle quali erano bambini; le altre erano invece donne e anziani. Oltre 200.000 provenivano dal fronte italiano. Wagna raggiunse una popolazione di quasi 21.000 abitanti, nell’inverno 1915-1916. I suoi ospiti arrivavano su carri bestiame, e spesso ebbero scarsissimo tempo per prepararsi, da qualche giorno a poche ore. I profughi pensavano che sarebbero rimasti lontano da casa al massimo un mese o due, e quindi la maggioranza portò solamente lo stretto necessario; quando però arrivò il freddo dell’inverno, mancavano gli abiti per coprirsi. Il viaggio fino in Austria durava più di un giorno ed era assolutamente vietato scendere. Arrivavano prima a Leibniz, dove c’era il campo di smistamento. Come denunciò Alcide De Gasperi, allora parlamentare cattolico al parlamento di Vienna, e particolarmente attivo nel comitato di assistenza ai profughi, essi venivano spostati come cose, senza chiedere il loro parere su nulla. Le autorità pretendevano una cieca obbedienza. Coloro che venivano giudicati abili al lavoro venivano avviati nei campi collegati alle aziende agricole o industriali. Però, essendo la maggior parte degli uomini sui fronti di guerra, spesso venivano impiegati soggetti molto anziani, o adolescenti poco più che bambini, oppure degli invalidi. Questo fu criticato pubblicamente da Max Fabiani, il noto architetto giuliano allora anch’egli impegnato nel comitato di assistenza. Giunti a Wagna, i profughi venivano fatti spogliare per essere lavati e disinfettati collettivamente, cosa che traumatizzava soprattutto le signore più avanti con l’età. Il personale non parlava italiano, per cui sorgevano spesso problemi di comunicazione. La maggior parte dei profughi fu costretta a risiedere in baracche  di legno fatiscenti, mal riscaldate; per questo l’accampamento – come altri campi – prese il nome di «città di legno». La promiscuità favoriva la diffusione delle epidemie. Al contrario, chi apparteneva alle classi più elevate veniva accolto in strutture in muratura, più riservate. Dal campo di Wagna non era consentito uscire senza regolare permesso. Tuttavia l’amministrazione cercò il più possibile di normalizzare la situazione. Furono costruiti un asilo, una scuola, un ospedale, una biblioteca, un teatro e le vie del campo presero i nomi delle città di provenienza dei profughi o di personaggi e luoghi a loro familiari. C’erano attività ricreative e sportive. Per questi motivi, quello di Wagna veniva presentato come un campo modello. I suoi abitanti, invece, non vedevano l’ora di tornarsene a casa. Ci furono numerose proteste, specie per la fame. Nell’ottobre del 1917 scoppiarono dei veri e propri tumulti. La disfatta di Caporetto e lo spostamento al Piave del fronte di guerra consentì un più veloce rimpatrio dei profughi e, alla fine del conflitto, vi erano presenti solamente 5000 ospiti.

  • Bibliografia
    P. Malni, Fuggiaschi. Il campo profughi di Wagna, 1915-1918, Edizioni del Consorzio culturale del Monfalconese, San Canzian d'Isonzo 1998; G. Nemec, Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965: storia e memoria degli italiani rimasti nell'area istro-quarnerina, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno 2012.
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  • Crediti immagine
    Fotototeca del Consorzio culturale del Monfalconese.
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