In un opuscolo anonimo, Le terre Italiane soggette all’Austria, uscito nel periodo antecedente l’entrata in guerra dell’Italia, si legge: «Vi sono, oltre il confine italo austriaco, sei provincie italiane rimaste sotto il dominio straniero. Sono esse il Trentino, il Friuli orientale, Trieste e l’Istria (che insieme compongono la regione da noi detta Venezia Giulia); la Dalmazia, e la città di Fiume, legata quest’ultima al regno d’Ungheria». Si trattava di quelle regioni che dopo il 1866, vale a dire in seguito all’ultimo conflitto con l’Impero asburgico e il mutamento del confine con il Regno d’Italia, continuavano ad appartenere alla compagine austro-ungarica. Il malcontento per la rinuncia alle stesse − e quindi al completamento dell’unità nazionale − prese forma con la nascita a Napoli dell’Associazione in pro dell’Italia irredenta (1877), caldeggiata da Giuseppe Garibaldi e sorta su iniziativa di Giuseppe Avezzana e Renato Matteo Imbriani. Fu proprio quest’ultimo a coniare il termine «irredentismo» in quello stesso anno. Lo statuto dell’associazione, pubblicato sulle colonne del suo giornale, «L’Italia degli Italiani», ricordava che lo scopo principale era la rivendicazione delle terre italiane che contornano le Alpi Retiche e Giulie soggette all’Austria per compiere l’unità nazionale. L’idea che una realtà plurinazionale come la Duplice monarchia fosse destinata al tramonto lasciando spazio agli Stati monoetnici, la titubanza di trovarsi con delle frontiere militari che rendevano incerta la difesa del paese e la mancata inclusione di Trento e Trieste entro i confini della nazione costituivano la spinta che alimentava l’attività svolta soprattutto, ma non solo, dalla sinistra mazziniana e garibaldina. Di conseguenza, la motivazione dell’impegno militare contro l’Impero asburgico, presentata ad un’opinione pubblica ancora intrisa di valori risorgimentali, fu anzitutto imperniata sulla volontà di compiere l’unità nazionale includendo le terre «irredente» che per quasi mezzo secolo erano rimaste oltre il confine. Il conflitto, perciò, era interpretato come la «quarta guerra d’indipendenza», quasi una sorta di saldo delle questioni aperte con l’Austria-Ungheria, essendo quindi focalizzato soprattutto sugli obiettivi nazionali che l’Italia desiderava raggiungere.