Prigionieri Austroungarici sul fronte russo (Agosto 1914 – Marzo 1915)

Prigionieri Austroungarici sul fronte russo (Agosto 1914 – Marzo 1915)

I rovesci subiti dall’esercito austro-ungarico al fronte galiziano portarono alla prigionia di migliaia di soldati. Subito dopo la cattura i soldati russi conducevano i prigionieri abili ai punti di raccolta, i feriti ai luoghi di medicazione. Dopo le prime perquisizioni ed i primi interrogatori, le colonne si mettevano in movimento e spesso dovevano percorrere a piedi centinaia di chilometri sotto il controllo della cavalleria cosacca. Il viaggio proseguiva in treno fino ai successivi punti di raccolta e di smistamento. I punti di raccolta più importanti erano Pietrogrado, sede del Comando supremo e dell’omonima circoscrizione militare, e Mosca, capoluogo di un’altra importante regione militare, in cui transitavano quasi tutti gli adriatici. Nelle regioni di Pietrogrado e Mosca si trovavano, inoltre, i più importanti ospedali e lazzaretti. Da Lvov (Lemberg-Leopoli), sede della Direzione generale della Croce Rossa, dipendevano tutti i lazzaretti aperti in zona d’operazioni. L’importante snodo ferroviario di Penza, situato a sud-est di Mosca, fu punto di transito per i prigionieri inviati nelle regioni più interne dell’Impero dal bacino del Volga alla Russia asiatica, ma anche punto di passaggio e di smistamento per i coscritti dell’esercito russo e gli internati civili. Qui, in un tempo relativamente breve, i prigionieri venivano divisi per nazionalità prima dell’inoltro nella Russia asiatica o europea. Le destinazioni dei nemici catturati dipendevano dalla politica nazionale varata dal governo zarista fin dall’estate 1914. I prigionieri di nazionalità diversa da quella germanica, austriaca o ungherese erano da considerarsi potenziali alleati ed in tal senso agiva la propaganda, volta ad accentuare la disgregazione nelle file dell’esercito austro-ungarico. Per gli italiani e gli slavi si prevedeva l’internamento nella Russia europea, per i tedeschi e gli ungheresi la Siberia, il Medio e Basso Volga, l’Asia centrale oltre alle più disagevoli lande del Circolo polare. Queste destinazioni più lontane avevano un carattere punitivo, ma rispondevano anche all’esigenza di concentrare i tedeschi in regioni di tradizionale insediamento dei coloni immigrati dalla Germania a partire dal Settecento e di consentire agli ungheresi di trovare delle parlate più affini alla propria, particolarmente nell’Asia centrale. Tali indirizzi si perpetuarono anche nello Stato sovietico, negli anni della Seconda guerra mondiale, allorché i campi di prigionia e le ripartizioni dei diversi gruppi nazionali dei prigionieri avvennero in modo assolutamente analogo rispetto agli anni della Grande guerra.

L’aumento progressivo del numero dei prigionieri, in proporzioni mai viste in precedenza nella storia dell’umanità, gli sconvolgimenti determinati dalla guerra nel sistema dei trasporti carente in Russia già prima del conflitto, le difficoltà di controllo e di registrazione vanificarono molto spesso le norme stabilite. Il gruppo italiano fu così mescolato e frantumato insieme alle più diverse nazionalità. Prima di raggiungere le sedi di lunga permanenza, vi era per tutti i prigionieri l’obbligo di una sosta per ulteriori interrogatori e perquisizioni nella fortezza di Kiev e, per quasi tutti, un periodo di isolamento nel triste campo ucraino di Darnitsa. Da lì venivano poi dispersi nei 45 governatorati dell’Impero. Lo Stato zarista aveva risolto il problema del mantenimento del nemico caduto in prigionia attraverso l’obbligo del lavoro, imposto a tutti i soldati semplici, la cui condizione era equiparata a quella del soldato russo, in base all’articolo 7 della Convenzione dell’Aja. Lo svantaggio per i soldati austro-ungarici era evidente, a causa della povertà che affliggeva gli strati più bassi dell’esercito zarista. L’attività dei prigionieri era molto eterogenea, così come vi era molta disparità tra il livello di vita del soldato semplice e quello degli ufficiali prigionieri. Questi ultimi erano infatti esenti dall’obbligo del lavoro e godevano di un trattamento economico e di un regime di libertà di gran lunga superiori a quello della bassa forza dell’esercito. Tale diversità di trattamento emerge nelle descrizioni presenti nei diari o nei messaggi scritti dagli internati.

  • Bibliografia
    M. Rossi, I prigionieri dello Zar, soldati italiani dell'esercito austro-ungarico nei lager della Russia, 1914-1918, Mursia, Milano 1997. Mursia, Milano 2000; Ead., Italiani al fronte russo. Una storia rimossa, Editrice Storica, Treviso 2014; S. Bellezza, I prigionieri trentini in Russia durante la Prima guerra mondiale: linee e prospettive di ricerca, in La Grande guerra ai confini: italiani d’Austria e comunità di frontiera 1914-1918, a c. di M. Mondini, F. Todero, «Qualestoria», a. XLII, n. 1-2, Giugno-Dicembre 2014.
  • Categorie
    ,
  • Crediti immagine
    Archivio fotografico Irsml FVG, Trieste.
  • Condividi

Related Items