Porto di Trieste

Porto di Trieste

«Il porto, a poco a poco, fu vuoto ed inerte come quelli delle città addormentate dove una vecchia grandezza marinara si è spenta»; queste parole di Silvio Benco sono molto eloquenti: l’impetuoso traffico del porto di Trieste, già all’inizio dell’agosto 1914 si era praticamente fermato. Eppure il porto era il cuore pulsante dell’economia cittadina. Collegava l’Austria-Ungheria ai principali scali dei cinque continenti. La guerra impose invece l’immediato stop al commercio mondiale e ai viaggi dei transatlantici. Il blocco navale anglo-francese nel Mediterraneo cominciò subito dopo le dichiarazioni di guerra, impedendo persino il ritorno dei vascelli ancora in mare. La Marina requisì per scopi militari la gran parte delle imbarcazioni delle compagnie di navigazione e minò gli accessi al porto e la costa istriana. Il «Baron Gautsch», un piroscafo che ancora collegava Trieste all’isola quarnerina di Lussino, affondò il 13 agosto 1914 proprio per colpa di una di quelle mine, che non erano state correttamente segnalate. Centotrenta persone rimasero vittime del grave incidente. Nel frattempo i facchini, i marinai, e i gli operai dei cantieri navali furono quasi tutti arruolati nelle forze armate. Chi invece si ritrovò nei porti nemici venne internato nei campi di prigionia; spesso passarono molti anni prima di riuscire a tornare indietro. Questa sorte toccò ad esempio a centinaia di triestini, le cui imbarcazioni erano ormeggiate negli scali asiatici allo scoppio della guerra. Inevitabile, quindi, che Trieste finisse per sprofondare in una pesante crisi economica. Il cibo iniziò presto a scarseggiare, riducendosi i canali di approvvigionamento, e i prezzi subito schizzarono alle stelle, consegnando la città alla fame. Sin dalla metà dell’Ottocento Trieste era il settimo porto mondiale per volumi di traffico, e continuò a svilupparsi fino alle soglie della Grande guerra. La sua storia era legata a doppio filo con quella della Monarchia asburgica, che decise di investire nello scalo giuliano dall’inizio del Settecento, facendone il principale porto dell’Austria. Ciò fu possibile anche grazie a leggi tolleranti, che consentirono l’integrazione di vari gruppi nazionali che poterono insediarsi nella città favorendone i commerci: ne beneficiarono greci, turchi, ebrei, armeni e altri popoli dell’area mediterranea.

Nel XIX secolo il porto di Trieste divenne sempre più importante, grazie a una flotta capace di seguire gli sviluppi tecnologici, alla forza economica delle sue assicurazioni, e alla lungimiranza dell’amministrazione asburgica; essa seppe infatti condurre le riforme necessarie a favorire lo sviluppo delle proprie  aziende, ben collegando i moli di Trieste con l’interno dell’Impero, grazie a strade e ferrovie moderne. Nella Seconda rivoluzione industriale, del resto, un porto diventava tanto più importante quanto meglio connesso a un sistema produttivo avanzato. Per questo motivo il porto di Trieste era l’espressione di tutto il sistema economico austro-ungarico, di cui era il principale scalo commerciale. Quando poi la città fu assorbita dall’Italia, dove assunse una posizione periferica in una nazione completamente circondata dal mare e disseminata da decine di scali, Trieste perse la sua funzione storica, e il porto non tornò più a raggiungere posizioni importanti nel mercato globale.

  • Bibliografia
    S. Benco, Gli ultimi anni della dominazione austriaca a Trieste, Casa editrice Risorgimento, Milano 1919; E. Apih, Trieste, Laterza, Bari-Roma 1988; G. Botteri, Una storia europea di liberi commerci e traffici. Il porto franco di Trieste, Editoriale, Trieste 1988.
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  • Crediti immagine
    Fototeca dei Civici Musei di Storia e Arte, Trieste.
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