A Pola, allora capoluogo del Margraviato d’Istria, l’estate del 1914 segnò grandi sconvolgimenti che furono ancora maggiori con l’ingresso dell’Italia nella Grande guerra nel maggio 1915. Pola era infatti, da oltre mezzo secolo, la piazzaforte della Marina asburgica. L’Impero aveva investito molto nella cittadina, situata strategicamente all’estremo sud della penisola istriana. All’inizio dell’Ottocento, a Pola viveva non più di un migliaio di abitanti, per lo più pescatori di origine veneta e agricoltori croati; il centro costiero era assai più sviluppato al tempo dei romani, che vi avevano costruito la famosa Arena. Dopo la Prima guerra di indipendenza e l’insurrezione di Venezia, nel 1850 i comandi dell’imperial regia marina austriaca, temendo l’instabilità del contesto italiano, decisero di spostare il proprio comando a Trieste e di costruire a Pola un arsenale adeguato alle sue esigenze militari che sostituisse i cantieri di Venezia. Successivamente, con le riforme della Marina di Tegetthoff, il porto militare di Pola acquisì sempre maggiore importanza. La popolazione aumentò presto di numero, fino a sfiorare i 60.000 residenti alle soglie del conflitto. Gli italiani, compresi coloro che erano giunti dall’Italia attratti dallo sviluppo dell’economia locale, costituivano circa i due terzi della popolazione, mentre gli altri residenti erano soprattutto croati, cui seguivano cospicue minoranze di sloveni e austriaci. Il 29 luglio del 1914, il ministero della Guerra emanò una disposizione che prevedeva l’allontanamento di tutta la popolazione civile presente nelle piazzeforti imperiali non impiegata presso le strutture militari; il provvedimento andava applicato soprattutto per le basi in prossimità del fronte russo ma già il 6 agosto le autorità fecero pubblicare sulla stampa polesana un primo comunicato in quella direzione. Due giorni dopo venne affisso sui muri un vero e proprio ordine di evacuazione, che però fu sospeso poche ore dopo. Lo stato di agitazione generale portò, comunque, all’inizio del primo esodo da Pola. Verso la fine di agosto quasi la metà della popolazione, circa 30.000 persone, abbandonò la città, usando i treni gratuiti messi a disposizione del governo, sparpagliandosi all’interno dell’Istria o recandosi a Trieste e nel resto dell’Impero. Quasi tutti pensarono che l’allontanamento sarebbe stato di poche settimane; pertanto, giunto l’inverno, si trovarono a corto di indumenti pesanti. Nel corso dei mesi più freddi, molti fecero ritorno nelle proprie case per un breve tempo, ma senza regolari permessi. Nell’aprile del 1915 iniziarono invece i preparativi per la quasi totale evacuazione dei civili. Dal 23 maggio 1915 si procedette così allo sgombero coatto non solo di Pola, ma di tutto il sud dell’Istria, fino a Rovigno. Poteva restare solo chi possedeva provviste di cibo per almeno sei mesi. Gli altri, in tutto circa 40.000, furono avviati al campo di smistamento di Leibnitz, in Stiria. Molti istriani furono poi internati nel famigerato campo di Wagna, vivendo da profughi in condizioni assai difficili, sia dal punto di vista sanitario che alimentare, per almeno due anni. Dalla primavera del 1916, i comandi militari, resisi conto dell’inutilità dell’evacuazione dell’Istria meridionale, che non fu mai interessata dai combattimenti, concessero il progressivo ritorno dei suoi abitanti. Dopo il conflitto, su Pola si estese la sovranità del Regno d’Italia. La Seconda guerra mondiale colpì ancora più pesantemente il capoluogo istriano; le foibe e l’esodo quasi totale della popolazione nel febbraio del 1947, costituirono alcune delle pagine più tristi della storia giuliana.
Pola e l’Istria meridionale

