Nuovo Ospedale psichiatrico di Trieste

Nuovo Ospedale psichiatrico di Trieste

«Tornavano in patria così agitati dalla visione d’orrore dei campi di battaglia, che alfine ne impazzivano: i giornali narravano siffatti casi quasi ogni giorno, senza poter dire che si trattasse di reduci dal campo, velandoli del titolo generico: “Allucinazioni”». In questo modo Silvio Benco raccontava l’effetto dei combattimenti in molti dei reduci, che già nell’autunno del 1914 ritornavano a Trieste per essere curati negli ospedali civili e militari  per le ferite del corpo, e in quello psichiatrico per quelle della mente. Stati catatonici e dolorose nevrosi erano i mali più comuni. I traumi della guerra colpivano non solo i soldati, segnati da visioni ed esperienze di inaudita violenza nei campi di battaglia, ma anche chi era rimasto a casa. Le cartelle cliniche del grande frenocomio triestino descrivevano ad esempio le «profonde depressioni» delle mogli, dopo la notizia della morte dei mariti nei combattimenti.

La nuova struttura manicomiale di Trieste, che aveva competenza su tutto il Litorale, era stata inaugurata nel 1908, mentre gli ultimi edifici furono conclusi nel 1913. Essa andò a sostituire il fatiscente manicomio di San Giusto e la sezione psichiatrica dell’Ospedale civico, ormai costantemente sovraffollato. Trieste aveva avuto una decisa crescita demografica sul finire del XIX secolo e per questo motivo, a partire dal 1902, iniziò l’edificazione del nuovo manicomio. La sua costruzione rispondeva ai più moderni standard dell’epoca. Negli anni Novanta dell’Ottocento, l’amministrazione comunale stabilì che il nuovo manicomio dovesse avere l’impianto a «porte aperte», dovendo ricordare il meno possibile una prigione. Delle piccole costruzioni immerse nel verde avrebbero potuto consentire il recupero dei pazienti assai meglio che un’unica grande struttura a «caserma». Perciò, dopo alcune valutazioni, fu scelta l’area del Monte Calvo, nei pressi del rione periferico di San Giovanni. Fu bandito un concorso internazionale; i migliori progetti vennero fusi in un progetto definitivo da parte dell’architetto Braidotti, formatosi alla scuola di Vienna. Si trattava non solo di costruire delle palazzine, ma anche di dare un impianto urbanistico all’intera struttura, che fu contraddistinta dallo stile della Secessione, ispirandosi all’opera di Max Fabiani. Furono elevati oltre 35 edifici, una chiesa e persino un teatro, finemente decorato con affreschi. Purtroppo, in breve tempo la direzione dovette allontanarsi dagli ideali con i quali era stato costruito il complesso. Le forze politiche imposero subito un muro di cinta che perimetrasse la zona. L’impostazione costrittiva delle terapie, da cui i pazienti spesso tentavano la fuga, portarono a circondare con reti metalliche gran parte degli edifici. Solo dagli anni Settanta, con la riforma terapeutica di Franco Basaglia nata proprio fra Trieste e Gorizia, il sistema delle «porte aperte» fu veramente applicato. Il manicomio di Trieste divenne da allora un modello psichiatrico di rilievo internazionale.

  • Bibliografia
    S. Benco, Gli ultimi anni della dominazione austriaca a Trieste, Casa editrice Risorgimento, Milano 1919AA.VV., L'Ospedale Psichiatrico di San Giovanni a Trieste. Storia e cambiamento, 1908-2008, Provincia di Trieste, Electa, Milano 2008.
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  • Crediti immagine
    Fototeca dei Civici Musei di Storia e Arte, Trieste.
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