L’assassino di Francesco Ferdinando a Sarajevo influenzò direttamente la vita di Max Fabiani. Da dodici anni, infatti, egli era il consulente privato dell’erede al trono per le questioni di architettura e storia dell’arte. Fabiani fu uno dei maggiori architetti e urbanisti della Mitteleuropa. La sua vita ben rappresenta la complessità, i traguardi e i travagli della sua epoca. Nacque nel 1865 da una famiglia di origine italiana a Cobdil (Kobidilj), nei pressi di San Daniele del Carso (Stanjel). Si diplomò alla Realschule di Lubiana, laureandosi a Vienna nel 1889. Vinse il premio Ghega, che gli consentì di compiere per tre anni un viaggio di studio attraverso l’Impero ottomano e il vecchio continente. Tornato a Vienna, collaborò con Otto Wagner e prese parte alla Secessione, uno dei grandi movimenti artistici della Mitteleuropa, fra architetti come Plečnik, Olbricht e Hoffmann. In questo periodo progettò la costruzione di numerose opere, fra le quali, a Vienna, l’edificio Portois & Fix, il Palazzo Artarìa, l’edificio Urania, e il Palazzo Palmers, premiato nel 1913 come migliore abitazione civile della città; nello stesso periodo elaborò il piano regolatore per la ricostruzione di Lubiana, distrutta dal terremoto del 1895, e poi di Bielitz, oggi Bielsko-Biala, in Polonia. Uno dei tratti salienti dell’arte di costruire di Fabiani fu la sua capacità di fondere tradizione e innovazione, divenendo anche un urbanista con radici profonde nella «cultura della città», quell’arte speciale dedicata ad un’armoniosa composizione degli assetti urbani. A Trieste Fabiani eseguì il Narodni dom (1901-1904), incendiato dai fascisti nel 1920: quel gesto è ricordato come l’inizio delle persecuzioni antislave nella Venezia Giulia. Prima della Grande guerra, a Trieste, Fabiani edificò inoltre la casa Bartoli (1905-1908) e la casa Stabile (1905-1906), e a Gorizia il Trgovski dom (1903-1905). Nel 1914, Fabiani era da sedici anni professore universitario alla Technische Hochschule di Vienna, e si stava dedicando ad erigere un ponte sul fiume Mur, a Graz. L’anno prima aveva ultimato la fabbrica Betzler, a Bolzano, mentre nel 1915 avrebbe vinto ancora un premio a Vienna per la costruzione di un edificio commerciale. L’accendersi del conflitto impose all’imperial regio esercito di richiedere la sua collaborazione: fu membro del Comitato per i profughi italiani e, dopo la disfatta di Caporetto e la riconquista austro-ungarica di Gorizia, fu il responsabile ufficiale per la ricostruzione dell’Isontino, posizione che mantenne anche dopo la fine delle ostilità, dando luogo ad una delle prime esperienze mondiali di pianificazione territoriale su vasta scala. Nel frattempo divenne cittadino italiano e rinunciò all’incarico dell’Università di Vienna, per continuare la sua carriera in Italia. Si spense a 97 anni a Gorizia, nel 1962.