(Intra, 1859-Roma 1941). Dopo aver frequentato l’Accademia di Torino, fu nominato sottotenente nel 1878. Frequentò la Scuola di guerra. Proseguendo nell’avanzamento di grado con sufficiente regolarità, fu nominato maggior generale nel 1910. Durante il conflitto italo-turco guidò una brigata nel teatro d’operazioni libico. La brillante carriera di Luigi Capello nella Grande guerra iniziò con il comando della 25ª divisione sulla linea del Carso, nel settore della III armata; promosso tenente generale nell’autunno 1915, fu posto alla guida del VI corpo d’armata, impegnato davanti a Gorizia, con il quale colse risultati solo parziali. Nel 1916 studiò e portò a compimento la complessa operazione militare dell’avvolgimento di Gorizia e della sua presa. Dopo un periodo di allontanamento dal fronte dell’Isonzo, per contrasti e, forse, competizione con Cadorna, venne nominato dallo stesso comandante in capo all’impegnativa conduzione della Zona Gorizia. Dal giugno 1917 resse il comando della II armata, operativa sull’alto e medio Isonzo e comprensiva della Zona Gorizia: alla testa della grande unità, la più potente dell’esercito, nell’undicesima offensiva italiana conseguì la conquista della Bainsizza, creando un saliente pericoloso per lo schieramento imperiale; l’irruzione nella testa di ponte austriaca di Tolmino, invece, si infranse, come pure fallì l’occupazione del San Gabriele.
Personalità sempre più in vista tra i capi militari, seppure criticata per le frequentazioni politiche e massoniche, Capello nella sua attività di comando di grandi unità cercò di dare impulso alle operazioni, mostrando attivismo e mobilità intellettuale ma anche difficoltà di rapporto con i sottoposti e il Comando supremo per la pervicacia nell’impiego ad oltranza della massa, per l’indole ostinata e spigolosa e un’inclinazione alla presunzione e alla ricerca di popolarità. Sotto l’aspetto tecnico nondimeno era considerato, anche a livello internazionale, uno dei comandanti italiani più preparati e attenti alle novità tattiche. La sua II armata, provata dai criteri intransigenti ed aggressivi del comando ed esposta da un assetto sbilanciato in chiave controffensiva, fu sorpresa e travolta dall’attacco austro-ungarica di Caporetto. Capello, in precarie condizioni di salute, poté seguire solo frammentariamente la fase della ritirata, completata la quale fu assegnato alla costituenda V armata. Nel febbraio 1918 venne tuttavia sollevato dal comando, finendo sotto inchiesta da parte della Commissione d’inchiesta su Caporetto. Ritenuto uno dei principali responsabili della sconfitta, collocato a riposo nel 1919, si trovò nel pieno di una vasta polemica di stampa e memorialistica, in cui aspetti umani, militari e personali vennero tratteggiati in maniera controversa e alla quale partecipò con intensità. Dopo la guerra Capello aderì al movimento fascista, allontanandosene per la politica antimassonica del governo Mussolini. Fu implicato nel fallito e per certi versi oscuro attentato di Tito Zaniboni a Mussolini (1925), benché il suo coinvolgimento abbia tratti vaghi. Condannato a trent’anni di segregazione e radiato dall’esercito, venne rilasciato nel 1936, con un provvedimento de facto. Si spense nel giugno 1941.
A.V.