Lavoro e guerra

Lavoro e guerra

La Prima guerra mondiale accelerò il processo d’industrializzazione italiano, obbligando a una ristrutturazione dei settori produttivi in vista dello sforzo bellico. Nel 1915 fu fondato l’Istituto della Mobilitazione Industriale (MI), con l’incarico di regolare il mercato del lavoro e vigilare sia sulle frange operaie considerate inaffidabili che sugli imprenditori incaricati delle commesse. Nelle fabbriche strategicamente essenziali dette «ausiliarie», localizzate per tre quarti al Nord, i lavoratori furono sottoposti a un regime disciplinare che prevedeva la proibizione dello sciopero e la soppressione di ogni forma di rivendicazione sindacale. Il crescente bisogno dell’esercito di rifornimenti provocò una riconversione dell’industria italiana in «industria di guerra», innescando l’espansione delle imprese meccaniche, metallurgiche e siderurgiche. Per sopperire alla mancanza di manodopera provocata dalla leva, venne assunta una massa dequalificata di donne e adolescenti, che l’annullamento delle tutele legislative nel giugno 1915 espose all’arbitrio dei supervisori tecnici. L’ingresso delle donne in campi produttivi reputati appannaggio maschile fu accolto con malumore da chi era preoccupato di perdere il proprio status in famiglia e in società. La tecnologia degli impianti fu modernizzata, l’uso del macchinario ridotto a poche funzioni e il lavoro frammentato in operazioni semplici, con conseguente aumento della produttività e impiego del cottimo.
Il Partito socialista italiano, tradizionale referente del proletariato, mantenne una posizione neutralista ma nei fatti dubbia, riassunta nella formula «né aderire né sabotare», che denunciò l’incapacità di rappresentare un serio contraltare al blocco interventista a causa delle spaccature intestine tra i massimalisti, che propendevano per il «non aderire», e i riformisti, che preferirono «non sabotare». In mancanza di un esplicito appoggio socialista all’intervento, la Mobilitazione industriale fu portata a elaborare piani di contenimento delle richieste operaie e di coordinamento della produzione. I margini di manovra dei sindacati furono ridimensionati e orari, retribuzioni e trattamento degli operai peggiorarono con il perdurare del conflitto: gli allontanamenti vennero assimilati alla diserzione, i turni di riposo abbreviati, gli addetti al controllo del personale dotati di larga discrezionalità. In tale situazione aumentarono gli incidenti e le assenze, cui si tentò di rimediare nel 1917 attraverso una maggiore sorveglianza igienico-sanitaria e l’introduzione di stipendi basati sul costo della vita. I risultati non compensarono la gravità delle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori nei poli industriali di Milano e Torino, che, galvanizzati dagli eventi russi, in maggio e agosto scesero in piazza reclamando la pace.
Una fetta consistente di manodopera, perlopiù meridionale, fu impiegata nella logistica tra le prime linee e le retrovie. Nei «cantieri di guerra» si riprodussero le medesime dinamiche operanti nelle fabbriche ausiliarie, con uno sfruttamento della manovalanza che determinò numerosi decessi. A conti fatti, l’identità operaia uscì rafforzata dalla prova bellica, che rese uomini e donne, consapevoli dei sacrifici compiuti, desiderosi di ricompense contrattuali. I parziali accorgimenti in favore dei salariati adottati nella fase finale del conflitto prelusero alle politiche assistenziali del dopoguerra, mentre il «capitalismo organizzato» della Mobilitazione industriale e la cooperazione stabilita tra governanti, industriali e alcuni sindacati divennero un modello di Stato corporato che il fascismo intese realizzare.

L.G.M.

  • Bibliografia
    M. Ermacora, Cantieri di guerra. Il lavoro dei civili nelle retrovie del fronte italiano (1915-1918), Bologna, Il Mulino, 2005; Id., Il movimento operaio e gli scioperi, in Dizionario storico della Prima guerra mondiale, sotto la direzione di N. Labanca, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 268-278; P. Di Girolamo, La mobilitazione industriale, in Dizionario storico della Prima guerra mondiale, sotto la direzione di N. Labanca, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 195-206.
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