Tra le opere più importanti della letteratura italiana della Grande guerra è senz’altro Guerra del ’15, diario dei primi due mesi di guerra di Carlo e Giani Stuparich – fino all’avanzata su Monfalcone tra loro vi era anche Scipio Slataper – scritto appunto da Giani Stuparich che pochi anni prima, nel 1924, aveva pubblicato la sua prima opera di letteratura creativa, i Colloqui con mio fratello, e aveva successivamente dato alle stampe una sua prima raccolta di racconti (Racconti, fratelli Buratti, Torino 1929). In Trieste nei miei ricordi egli scrive che nei suoi primi giorni di trincea, trascorsi con il fratello sul fronte di Monfalcone nei panni di semplici granatieri, aveva appuntato «con la punta della matita su un blocchetto quadrettato» le «sensazioni appena provate, il nome dei compagni feriti o morti, le parole scambiate con Carlo». Trascorsi diversi anni, Stuparich riprese in mano quelle pagine che, lasciati «intatti il carattere e l’atmosfera di quelle note», aveva iniziato a rivedere; il diario cominciò così ad apparire sulle pagine della «Nuova Antologia», diretta allora da Giovanni Gentile. La pubblicazione, con il titolo Dal taccuino di un volontario, fu così proposta a puntate nel 1930, ma subì però una momentanea interruzione per il suo carattere, poco consono all’atmosfera di allora. Le ultime puntate apparvero nel 1931, quando ormai l’autore aveva concordato l’uscita in volume del testo, edito nel 1931 con il titolo che oggi conosciamo: Guerra del ’15 (Dal taccuino di un volontario).
Accolto con favore dalla critica letteraria dell’epoca, il diario è connotato da un tono disincantato e dimesso, ed è ricco di riflessioni e appunti critici: vi sono infatti descritti aspetti particolarmente delicati del conflitto: dalla delusione per l’atteggiamento di tanti commilitoni – gli Stuparich erano allora semplici granatieri – alla diffidenza avvertita in alcuni di essi e perfino in alcuni ufficiali; l’atteggiamento arrogante di alcuni di questi ultimi; i costi morali e materiali del conflitto e il loro impatto sul paesaggio e la popolazione civile e così via dicendo. Anche lo stile risulta quanto mai asciutto e antiretorico e per questo estremamente efficace nella descrizione dello stato d’animo dei due volontari e dei loro compagni davanti a un conflitto che andava di giorno in giorno mostrandosi ben diverso da quanto si erano aspettati. Trieste, la meta agognata, pur se così vicina, appariva sempre più distante, come pure «lontana e irraggiungibile» era la madre, che i due fratelli avrebbero voluto poter riabbracciare. Guerra del ’15 è dunque un documento insostituibile sia per chi desideri conoscere l’animo di quanti avevano affrontato la guerra da volontari con doloroso entusiasmo, sia per prendere atto di come le caratteristiche di quella guerra totale e moderna agiva su di essi e sui molti che vi furono impegnati. Altrettanto impareggiabile appare la capacità di Stuparich di descrivere quei primi mesi di guerra – vi si parla delle prime due offensive sull’Isonzo – sul Carso monfalconese, delle difficoltà incontrate dall’esercito italiano, delle dure condizioni nelle quali le nostre truppe dovettero battersi in uno scenario aspro e sempre più devastato.
F.T.