Nella primavera del 1915, dopo mesi di furiosi combattimenti in cui si erano esaurite le migliori energie e riserve dell’esercito zarista, l’iniziativa militare passò agli Imperi centrali. Il 2 maggio la 2ª armata germanica rinforzata da alcune divisioni austriache, operò una rottura del fronte nel settore di Gòrlice. Le unità russe dislocate sui Carpazi furono costrette ad abbandonare le posizioni faticosamente conquistate, per evitare l’accerchiamento. Nello spazio di qualche mese gli eserciti austro-tedeschi liberarono quasi tutti i territori perduti ed acquisirono nuove ed importanti posizioni strategiche. Il 20 giugno fu riconquistata Lemberg (Leopoli), il 30 luglio e il 5 agosto caddero rispettivamente Lublino e Varsavia. La vittoria di Gòrlice, come è stato osservato, segnò la fine della potenza militare russa. Gli eserciti zaristi accusarono una perdita di più di 200.000 uomini. Il fronte poté essere nuovamente ristabilito solo dietro la ininterrotta serie di fiumi, canali, laghi e paludi, che si estendono dal golfo di Riga alla Bucovina.
Le brillanti vittorie ad oriente non implicarono un miglioramento delle condizioni di vita morali e materiali delle popolazioni asburgiche. Manifestazioni di dissenso e di avversione per la guerra si facevano sempre più frequenti. Il triestino Ferry Hoenig scriveva alla fidanzata Xenia dai «campi della gloria»:
«Come vedi, la vita qui, se anche noiosa, non è poi tanto bella come la descrivono i giornalisti, che scrivono gli articoli, sì graziosi, sulla vita in campo, seduti comodamente al scrittoio nella loro redazione. Domandi se non sento nostalgia. Altro che! Dove sono i tempi che giravo vestito in borghese, bevevo il caffè nero al “Seccession”, facevo la mia partita e poi alle 5 e ½ andavo a prendere la signora Xenia. Quando ritorneranno? … Non crucciarti troppo per quest’inverno. Spero che quando principierà quella stagione, mi troverò giù in qualche ospitale, magari senza un pezzo di gamba, sempre meglio che passare l’interno qui».
Documento questo tanto più significativo in quanto rilasciato da un giovane borghese, volontario e di origine tedesca.
Per mettere fuori combattimento l’esercito zarista gli austro-ungarici avevano concepito una specie di piano Schlieffen alla rovescia, cioè di sfondamento a sud dell’esercito nemico, con l’avvolgimento della sua ala meridionale, seguito da un’offensiva generale su tutto il fronte:
«La battaglia, cominciata il 2 maggio 1915 […] presso Gorlice e durata cinque mesi con qualche breve intervallo, ebbe inizio con un infernale fuoco di artiglieria diretto contro i più vasti settori del fronte russo nella Galizia occidentale. Sin dai primi giorni il fronte russo venne sfondato in vari punti, e cominciò la ritirata generale delle armate russe… Proprio in quel periodo la scarsità di munizioni cominciò ad assumere un carattere catastrofico nell’esercito russo».
L’offensiva di Gorlice non era infatti che l’inizio d’una grande manovra, volta a serrare da nord e da sud le armate russe in una gigantesca tenaglia. Per tre volte gli eserciti russi riuscirono a sfuggire all’accerchiamento, ma dovettero abbandonare tutta la Polonia subendo 151.000 morti, 683.000 feriti, e ben 895.000 prigionieri e a fatica il fronte era ricostituito lungo una linea che dai pressi di Riga sul Baltico arrivava alla Bucovina. Gli austro germanici riuscirono così a rioccupare tutti i territori perduti in Galizia nei primi mesi di guerra tra cui Lemberg (Leopoli) e Przemysl. La nuova linea del fronte si assestò più ad est, lungo il fiume Dnestr e le truppe austroungariche furono impegnate in attività di controllo e non in sanguinosi combattimenti fino al maggio 1916.
I successi conseguiti su questo fronte da parte degli Imperi centrali concorse a creare tra le truppe d’ogni nazionalità l’illusione d’una vittoria definitiva e soprattutto della fine della guerra. Nessuno di quegli uomini avrebbe immaginato di dover affrontare ben presto l’incognita di una nuova guerra, ancora più sanguinosa della precedente sulle pietraie del Carso e dell’Isontino.
M.R.