Giuseppe Picciòla (Parenzo, 26 settembre 1859 – Firenze, 18 giugno 1912), professore, poeta e saggista istriano. Compì gli studi nel Ginnasio comunale di Trieste; per questioni politiche e dopo uno scontro con la polizia in cui furono coinvolti parecchi giovani, nell’ottobre del 1878 dovette abbandonare la città. Trovò riparo a Venezia. Nella città di San Giusto aveva collaborato al quindicinale «La Giovane Trieste», foglio dell’organizzazione omonima, che tra gli aggregati annoverata Guglielmo Oberdan, Riccardo Zampieri, Salomone Morpurgo, Salvatore Barzilai ed altri. Si laureò alla Scuola Normale di Pisa (1881) e ben presto entrò nel salotto di Giosué Carducci. Sul versante della sua produzione poetica seguì quest’ultimo; tra le sue raccolte, la cui lirica è stata definita «professorale» e d’impronta classicista, si ricordano Versi (1890) e Rime (1899). Assieme a Guido Mazzoni curò l’Antologia carducciana. Poesie e prose (1908), che ebbe particolare fortuna e fu più volte ristampata; precedentemente, nel 1881, aveva pubblicato invece L’epistolario di Clementino Vanetti. Tra il 1881 e il 1883, da Bologna, collaborò con il giornale liberale moderato di Trieste «L’Eco del popolo». Scrisse anche per altre pubblicazioni periodiche: «Fanfulla della Domenica», «Domenica del Fracassa», «Cronaca bizantina», «Cronaca minima», «Vita Nova». Nel 1885 entrò nel mondo della scuola, dapprima come insegnante, a Bologna, Rovigo, Maddaloni, Pesaro, e in seguito come preside a Pesaro, Reggio Emilia, Lucca, Ancona e Firenze. Nel capoluogo toscano fu presidente del locale comitato della Dante Alighieri e fu pure segretario della Commissione della Lectura Dantis. Nel 1914 presso la casa editrice Sansoni di Firenze uscì il volume postumo Poeti italiani d’oltre i confini (nel 1919 fu proposta la ristampa con il titolo Poeti dell’Italia redenta seguito dal titolo originale tra le parentesi), un’antologia che raccoglie la produzione poetica degli autori delle terre «irredente» che scrissero nella lingua di Dante nel corso dei secoli. Quel corpo di testimonianze si accostava al quasi contemporaneo florilegio di Francesco Salata – con documentazione di varia natura – attraverso la quale si propronevano le pezze d’appoggio del diritto storico degli italiani di Trieste e dell’Istria a unirsi con il Regno.