Fiorello Carlo

Fiorello Carlo

Nel 2015 ricorrevano il cinquantenario della morte di Carlo Metlica (in arte Fiorello) e il centenario del debutto della prima compagnia comica dialettale triestina, da lui fondata e diretta. Nato a Parenzo il 18.2.1890 e morto a Duino (Trieste) alla fine di settembre del 1965, Fiorello cominciò a calcare le scene triestine proprio durante gli anni della Grande guerra, recitando al Teatro Minimo nel 1914 e divenendo capocomico della sua compagnia dialettale, che debuttò nell’agosto del 1915 al Teatro Famigliare di via Acquedotto 24. Nei quattro anni seguenti continuerà a recitare al Teatro Fenice, al Teatro Eden e all’Armonia di via Madonnina.
Oltre al ruolo di attore, perlopiù brillante, Fiorello fu anche commediografo, dicitore, macchiettista, illusionista, canzonettista, compositore, in anni in cui la scarsità degli attori, dovuta alla chiusura dei confini, fece emergere le poliedriche capacità degli artisti locali. Per la sua compagnia, che diventerà «Compagnia comica città di Trieste», Fiorello inizialmente adattò molte commedie del repertorio veneziano, graditissime al pubblico triestino, ma scrisse anche sue commedie (ricordiamo Afari di chebe, Nel cuor de Trieste, El ribalton, Viva noi che sempo puti, La casa dei spiriti), molte delle quali verranno pubblicate solo dopo la guerra, anche perché Fiorello non era ben visto dalle autorità militari austriache a Trieste, a causa della sua vis polemica contro la censura teatrale onnipresente.
Nelle sue Memorie Fiorello rievoca avvenimenti e personaggi che accompagnarono la sua tormentata carriera teatrale di quegli anni, vissuta tra difficoltà finanziarie e scontri con impresari che dovevano continuamente divincolarsi tra le esigenze «di cassetta» e l’inflessibilità dei commissari in sala. Racconta che «in quegli anni di guerra, anche se la gente moriva di fame, gli spettacoli erano continuati ed il pubblico entrava ed usciva ad ogni fine d’atto. Alle feste poi si incominciava alle tre e si terminava alla mezzanotte, sicché dovevo recitare cinque e perfino sei farse in una giornata! D’estate, col caldo canicolare, chiuso nove ore in un ambiente privo d’aria, recitando più volte delle farse faticose come La tazza di tè, Maritiamo la suocera, La sposa e la cavalla ed altre cose simili, lascio immaginare a che sorta di fatica fisica venivamo sottoposti!» (in Carlo Fiorello, Memorie di palcoscenico).
Nel 1916 recitava al Teatro Fenice, diretto da Olimpio Lovrich e Bruno Strehler (padre di Giorgio), la vecchia farsa di successo La consegna è di russare: nell’originale francese l’attendente doveva indossare la divisa militare nazionale, cosa impossibile da replicare su un palcoscenico «austriaco». Fiorello aggirò l’ostacolo indossando un costume da soldato della Carmen, ma con il berretto da fante italiano. Un ordine del Comando Militare lo fece trasportare immediatamente in Stiria su un vagone di bestiame.
Dopo la fine della guerra ebbe diverse scritture, per Zara e per il Teatro Apollo di Fiume, dove si facevano spettacoli di varietà. Erano gli anni del tabarin, con donne quasi nude, gambe all’aria, vesti di perle e di veli, danze africane, urla selvagge e movenze lascive, in cui la sua Compagnia continuava a recitare farse «in chiusa» agli spettacoli. Negli anni seguenti si dedicherà anche al cinema e, dopo la Seconda guerra mondiale, al teatro dei burattini, inaugurando nell’estate del 1945 un proprio teatrino, per il quale scriverà numerose fiabe destinate ai bambini, anche su testi originali, trasmesse anche alla radio quasi fino alla sua scomparsa.

F.L.

  • Bibliografia
    C. Fiorello, Memorie di palcoscenico, La vedetta italiana, Trieste 1928; «Il Lavoratore. Giornale dei socialisti italiani in Austria», Trieste, 10 agosto 1915. F. Licciardi, El ribalton. Il teatro di Carlo Fiorello durante la Grande guerra. Originale radiofonico tratto dalle «Memorie» di Carlo Fiorello, RadioRai per il Friuli Venezia Giulia, 3-24 gennaio 2016.
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